In viaggio con Reboani, l’artista demiurgo

  • A cura di:
    Tiziana Pagliei

In programma dal 2 dicembre al 30 gennaio 2012 negli spazi della galleria La Nuvola di Fabio Falsaperla e Nicoletta Maria Gargari, in via Margutta, la personale di Marcello Reboani, Must Have, «nasce nel 2006 per caso, durante una sosta mia e di Marcello all’aeroporto di Atene». A ricordare è la curatrice Melissa Proietti, che aggiunge: «Nel bookshop all’interno della struttura ci siamo accorti di un libro inglese dal titolo curioso, 101 cose da avere prima di morire - scritto da Maggie Davis e Charlotte Williamson – che ha in copertina l’immagine di una Birkin Hermès, una borsa cult. Da qui il pretesto, molto divertente, di allestire una personale di Reboani con trenta opere-scultura raffiguranti i must have di style».
Ad accompagnare la mostra c’è un catalogo bilingue edito dalla Maretti editore con testo storico di Barbara Martusciello e contributi di Adriana Mulassano, Francesca Molteni, Paolo Falcone, Eduardo Montefusco, Federica NajOleari, Chiara Rapaccini, Maurizio Piccirilli e Ilaria Uzielli de Mari. La parola passa all’artista.
Marcello, in che modo le opere in esposizione sono legate tra di loro?
«Il denominatore comune degli oggetti rappresentati è il desiderio, nella maggior parte delle persone, di possederli: si va dal Rolex alla Nikon, dai Levis alle Marlboro, dalle Converse All Stars al Bitter Campari, alla San Pellegrino. Non si tratta di oggetti-icona necessariamente costosi, ma desiderati… beh, questo sicuramente».
A questo punto ti chiedo quanto sia difficile collocare oggetti icona – borse, scarpe, capi, accessori – in un universo “materiale”, mantenendo la loro chiave pop? 
«Essendomi diplomato in scenografia presso l’Accademia delle Belle Arti ho subito avvertito l’esigenza di “giocare” con gli assemblage, una sorta di collage tridimensionale. Adoro stare con “le mani in pasta”, coniugare il messaggio iconico e pop con quello ecologico e della sostenibilità, in un costante rimando».
Eppure negli anni Sessanta Andy Wharol non affrontava determinate tematiche…
«Erano altri tempi. Oggi credo sia indispensabile approfondire questioni ambientali, anche – e soprattutto – nell’ambito artistico. Ricorro a materiali poveri nel pieno rispetto, perdona il gioco di parole, della materia stessa, che è la vera protagonista della mostra».
La produzione inedita di carte geografiche, planisferi in tecnica mista, arcipelaghi e isole, rimanda ai tuoi viaggi…
«Già, l’amore per il mare mi ha portato a fare il giro del mondo in barca a vela per ben due volte. Esperienze indimenticabili, anche perché in un’occasione, avevo accanto mio fratello Federico. Da questi viaggi sono nate le carte geografiche e i planisferi in tecnica mista, dove ho evidenziato gli arcipelaghi e le isole che mi sono rimaste nel cuore».
Il viaggio è nel dna dell’uomo… Quanto è importante valicare confini territoriali e artistici?
«È fondamentale. Mi vengono in mente Paul Gauguin ed Ernest Hemingway, due artisti in ambiti differenti che hanno viaggiato molto, riversando nelle loro opere le conoscenze acquisite. Viaggiare rappresenta un’esperienza estetica e spirituale unica. Viaggiare rappresenta la sopravvivenza dello spirito».

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